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“Il nostro corpo non sa se l’agente inquinante che ha all’interno proviene dall’aria che respiriamo, dall’acqua che beviamo o dal cibo che mangiamo”. 

Parlare di inquinamento dell’aria significa necessariamente toccare il tema della salute. Lo abbiamo fatto andando a trovare Fiorella Belpoggi, Direttrice del Centro di Ricerca sul Cancro dell’Istituto Ramazzini di Bologna, un ente nato agli inizi degli anni ‘70, riconosciuto a livello internazionale e noto per i suoi fondamentali contributi alla ricerca nel settore dell’oncologia e delle scienze ambientali, in particolare nell’ambito del rischio sanitario legato agli ambienti di lavoro. "Il ruolo dello scienziato in questo campo è quello di mettere a disposizione della società il proprio sapere: un Istituto come il Ramazzini può avvalersi di contatti con centinaia di scienziati eccellenti del Collegium Ramazzini in tutto il mondo, molti dei quali siedono ai tavoli dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e di altre Agenzie internazionali. Rendendo fruibili i dati degli studi pubblicati, da un lato si arricchisce il patrimonio di conoscenze della comunità scientifica e dall’altro si consente alle agenzie preposte di accedere a informazioni e dati utili ai processi di regolamentazione a livello globale. Le politiche ambientali di una città sono sicuramente fondamentali, ma questo tema non può essere affrontato e risolto localmente: occorrono strategie efficaci a livello globale". Basti pensare che, secondo un recente resoconto della rivista Lancet, ogni anno nel mondo muoiono circa 9 milioni di persone a causa del rischio ambientale e di questi 4,5 milioni circa sono legati all’inquinamento dell’aria. Questa alta mortalità colpisce soprattutto i Paesi in via di sviluppo, anche se la maggiore produzione industriale di sostanze tossiche avviene nei Paesi industrializzati. "Quando vietiamo la circolazione dei veicoli con alte emissioni tossiche o limitiamo l’uso delle plastiche più inquinanti, ricordiamo che questi prodotti industriali vengono poi esportati in India, Cina, Africa, ecc. Molte sostanze inquinanti hanno vita lunghissima e restano nell’ambiente per decenni: la battaglia da intraprendere non è quella di spostarli nei Paesi in via di sviluppo, ma di evitare di produrli, cioè metterli al bando". Il tema della prevenzione deve tornare al centro sia delle politiche locali e che di quelle globali, così come nelle abitudini dei cittadini: "Come mettiamo in agenda il compleanno del nipotino o l’appuntamento dal parrucchiere, così dovremmo segnare le date dei controlli preventivi sulla nostra salute". Difendersi dalla cattiva qualità dell’aria è prioritario, ma non sufficiente: "Il nostro corpo non sa se l’agente inquinante che ha all’interno proviene dall’aria che respiriamo, dall’acqua che beviamo o dal cibo che mangiamo. Reagisce ammalandosi, a prescindere dall’origine dell’agente tossico".
L’approccio alla prevenzione quindi deve essere generalizzato ed estendersi allo stile di vita. "È inutile che io indossi la mascherina mentre cammino nel traffico, se poi fumo sigarette o mangio tutti i giorni cibo confezionato e a lunga conservazione!"
Favorire buone abitudini alimentari, stili di vita sani e controlli preventivi è il compito che le nostre strutture sanitarie devono avere come priorità, "agendo sia in termini di comunicazione e sensibilizzazione, che in termini di organizzazione dei servizi, perché questi siano sempre più accessibili e vicini al cittadino. La strada da percorrere passa dalla costruzione di nuove e più efficaci alleanze tra scienza, istituzioni e cittadini”.

> Scarica l'intervista (.pdf, 471KB)

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