2 aprile 2020 - 11:53

Coronavirus, a Hong Kong scatta la seconda quarantena: ecco perché ci riguarda tutti

Nella fase più grave dell’epidemia la città si è sigillata, poi ha richiamato al lavoro gli impiegati della city. Ma ora è costretta a nuovi provvedimenti: per due settimane chiusi bar e pub

di Guido Santevecchi

Coronavirus, a  Hong Kong scatta la seconda quarantena: ecco perché ci riguarda tutti
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Ritorno alla vita normale, vicini ai colleghi di scrivania e ai compagni di banco a scuola, immersi nel meraviglioso affollamento, tutti appiccicati come sardine sull’autobus o in metro. Potrebbe anche non essere proprio così la nostra vita dopo la pandemia. Potrebbe sconsigliarcela, una vita senza costanti precauzioni aggiuntive, l’ipotesi «seconda ondata» del coronavirus che sta allarmando l’Asia.

Osservando la strategia attuata da Pechino, Hong Kong, Tokyo, Singapore, Wuhan ci si rende conto che il contrasto dell’epidemia da Covid-19 avviene a Fasi. Quella più drastica è ormai nota in tutto il mondo come «lockdown», la chiusura generale, la quarantena collettiva per milioni di persone con le attività economiche sospese e i cittadini in casa. Ma quando la curva dei contagi finalmente si appiattisce, le autorità debbono continuare a imporre precauzioni che cambiano la socialità e il modo di muoversi della gente.

Hong Kong finora dal punto di vista sanitario ha resistito: nella fase più grave dell’epidemia si è sigillata per evitare il contagio dal resto della Cina; quando il peggio è passato ha richiamato al lavoro gli impiegati della City finanziaria. Ora che teme un’ondata di ritorno, contagi di nuovo importati e coronavirus rimesso in corsa, ha dichiarato una nuova stretta, non lockdown ma chiusura per due settimane della vita notturna, dai pub ai ristoranti, dai karaoke alle sale di mahjong (il gioco da tavolo più amato dai cinesi). Anche lo storico ippodromo di Happy Valley, che con gli enormi incassi per le scommesse è il principale contribuente fiscale, opera a porte chiuse: corse senza pubblico e puntate solo online. L’ippodromo era rimasto aperto anche nel 1941 quando Hong Kong era stata invasa dall’armata giapponese, si è arreso al Covid-19 invisibile. I locali pubblici che non chiuderanno dovranno far usare le maschere al personale e controllare la temperatura dei clienti. Nei ristoranti di Hong Kong, per i prossimi 14 giorni, sono ammessi tavoli con un numero massimo di 4 avventori: è stato rilevato infatti che la distanza ravvicinata a tavola riaccende focolai. Le autorità hanno dichiarato che dal 19 marzo 573 casi di infezione sono stati importati dall’estero, ma che 132 sono stati contagi interni tra hongkonghesi (il 23% dunque). E di questi 69 hanno colpito persone che erano state in bar e pub della città. Per evitare questi contatti rischiosi in ambienti ristretti, bar e pub vengono chiusi da venerdì 3 aprile, per 14 giorni. In totale, dall’inizio dell’epidemia, Hong Kong ha registrato 802 casi di Covid-19, pochi in una popolazione di circa 7,2 milioni di residenti, ma sufficienti a mantenere alto il preallarme.

Di particolare interesse anche per l’Italia la gestione degli ingressi a Hong Kong, considerando che la città non vive solo di alta finanza ma anche di turismo. L’aeroporto resta semideserto, per evitare lo sbarco o il transito di viaggiatori internazionali in arrivo da Paesi a rischio.

«La strategia chiusura-riapertura controllata è decisiva in questa fase, le misure di controllo dovranno continuare con varie gradazioni fino a quando non si verificherà una di queste due circostanze: lo sviluppo naturale di immunità nella popolazione, causata da infezione e guarigione; la scoperta e la diffusione di un vaccino affidabile». La strategia di lungo periodo è di Gabriel Leung, preside di medicina alla University di Hong Kong, un luminare nel campo delle epidemie da coronavirus, essendo stato in prima linea contro la Sars nel 2002 e 2003. Conclusione del professor Leung: passeremo attraverso “diversi cicli” di rilassamento e strette nelle misure di contenimento prima di trovare la soluzione definitiva (le sue considerazioni si possono leggere integralmente su The Atlantic.

Uno degli obiettivi del contenimento a fasi, in mancanza di un vaccino, è di evitare o rallentare i contagi, in modo anche che il sistema sanitario dei singoli Paesi possa rifiatare dopo le settimane di battaglia più dura. È quello che sta succedendo in Cina: diversi studi segnalano che senza precauzioni massicce il coronavirus che ora sembra in ritirata, quasi scomparso, tornerebbe a diventare epidemia ad agosto. L’obiettivo è ritardare una ripresa del coronavirus fino almeno a ottobre. Guadagnare tempo, in attesa di medicine efficaci. Ecco perché la gente continua a usare la maschera, i cinema restano chiusi, parchi divertimento e musei di grandi città come Shanghai sono stati riaperti e poi richiusi. A Pechino è stato sospeso l’arrivo dall’estero di ogni cittadino straniero fino a nuovo ordine. Anche per i lavoratori cinesi che hanno necessità di tornare in ufficio nella capitale sono stati imposti scaglionamenti rigidi: non più di 10 mila arrivi al giorno per venti giorni e quarantena di 14 giorni prima di andare al lavoro.

Wuhan da due settimane non segnala nuovi casi di contagio(sempre che le segnalazioni siano certe) ma aspetterà fino all’8 aprile per mettere fine alla quarantena cominciata il 23 gennaio. A Tokyo, dove l’autodisciplina della popolazione è storica, la governatrice finora ha chiesto solo di ridurre gli assembramenti, evitare le uscite serali (karaoke e ristoranti). Ma con i numeri del contagio che continuano a salire l’ipotesi di lockdown aleggia. Tokyo e il Giappone però resistono all’epidemia grazie alle loro sane abitudini culturali che hanno costituito una barriera naturale contro il coronavirus: la gente da sempre si inchina invece di stringersi la mano o abbracciarsi; ci si tolgono le scarpe prima di entrare in casa; le mascherine sono diffusissime in ogni stagione, come cortesia verso i concittadini, per non esporli al contagio delle influenze normali; i ristoranti forniscono agli ospiti salviette umide. Il governo ha deciso di mandare mascherine a casa a tutti i giapponesi: un piano per la consegna in 50 milioni di indirizzi privati è stato annunciato questa mattina. Due mascherine a persona, lavabili e riutilizzabili. Perché la battaglia sarà lunga e bisogna utilizzare bene le difese antivirus.

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