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Blocco Comune QP è un progetto di costruzione di uno spazio di comunità degli abitanti del quartiere Porto-Saragozza nato all’interno di Bologna Attiva negli spazi di DumBO, in cui realizzare iniziative e progetti pensati dai ragazzi, riappropriarsi di uno spazio quotidiano di socialità e confronto, elaborare modelli educativi. Lo spazio è stato assegnato attraverso un avviso pubblico Spazi di Comunità @ Bologna Attiva.
Abbiamo raggiunto il gruppo del progetto Blocco Comune QP: YaBasta Bologna, Collettivo Verso, Arco Wood

 

Cosa avete in programma di realizzare?

Il progetto è quello di costruzione nel vero senso della parola. Vogliamo infatti che l’allestimento dello spazio interno ed esterno non sia un semplice elemento di cornice ma cuore pulsante delle relazioni che nello spazio si verranno a creare. È uno spazio rivolto agli abitanti del quartiere, in particolare alla fascia più giovane, insieme ai quali verranno realizzate attività di progettazione e costruzione dello spazio per far sì che possa rispondere alle esigenze reali di una fascia di popolazione di solito esclusa da questi processi. Per farlo useremo materiali di riciclo e un approccio multidisciplinare in cui la lavorazione del legno sia affiancata alla progettazione digitale, i percorsi educativi di prossimità all’autogestione di spazi da parte di adolescenti e preadolescenti.

Qual è l’obiettivo?

L’obbiettivo principale del progetto è quello di costruire in maniera condivisa gli strumenti per il riscatto. Uno spazio fisico può essere uno di questi strumenti. In uno spazio si può dare condivisione, gioco, educazione, crescita collettiva e anche la costruzione di percorsi di riscatto economico, sociale, ambientale che escano dalle quattro mura.

Uno spazio comune che non è solo una cogestione tra associazioni, ma anche una visione comune sulle problematiche del quartiere, ed in particolar modo sulle problematiche educative. Quali sono secondo voi?

La principale problematica è l’assenza di prospettive che molti ragazzi in situazione di fragilità economica vivono. A questo si aggiunge una generale perdita di fiducia nel futuro, un senso di impotenza di fronte alle catastrofi del nostro tempo. Le reazioni sociali che appaiono quando si parla di baby gang o situazioni di criminalità si inseriscono in questo contesto. Purtroppo anche la scuola, con la pandemia in particolare, fatica ad essere vista come strumento di emancipazione, non solo individuale, ma collettiva. Di fronte a tutto questo la mancanza di alternative negli spazi fisici dei quartieri, l’esclusione, facilità l’emersione di forme di protagonismo non politico ma delinquente e criminale. In determinati contesti spacciare è più attrattivo che fare attivismo politico o studiare per la ricerca scientifica. Lo spaccio o il mito del contro-potere criminale sono raccontati come meccanismi di successo e riscatto, modi di sopravvivenza alle urgenze del nostro tempo, mentre tutto il resto è visto da molti ragazzi come distante dai propri interessi.

Quali sono i bisogni che avete intercettato?

Con la pandemia i bisogni di spazi di socialità sono emersi più forti. A settembre 2021 il doposcuola del Tpo è diventato uno spazio di socialità oltre che uno spazio dove fare compiti e rispondere alle enormi difficoltà legate ai percorsi educativi. Questo non è però un bisogno che si intercetta una volta per tutte, va capito standoci dentro, costruendo confronti alla pari e non soltanto proponendo attività a cui poi i ragazzi debbano avvicinarsi. Per esempio la necessità di spazi di socialità si è tradotta nell’idea di fare all’interno dello spazio di comunità una “stanza relax”. Qualcuno obietterebbe di fronte a questo che i giovani debbano impegnarsi di più, che già si rilassano abbastanza. Ma pensiamo a quanto anche noi, chi lavora in maniera precaria in questo mondo difficilissimo, oggi avremmo bisogno di stanzette relax sparse nel territorio, momenti di svago, libertà dal lavoro povero e massacrante, e poi molto spesso per cosa? Ecco, scoprire insieme questo bisogno e confrontarcisi seriamente è quello che intendiamo quando diciamo che bisogna rapportarsi alla pari, mettendo il rapporto educativo non come un a-priori in tutte le situazione ma come uno sviluppo collettivo del processo

A quali comunità vi rivolgete e come le state coinvolgendo?

Il concetto di comunità lo abbiamo interpretato in due modi nella scrittura del progetto.
La comunità intesa come gli abitanti del territorio. Quartiere Porto-Saragozza e zona casarini-zanardi-saffi in primis, ma poi sappiamo benissimo che le filiere relazionali spaziali sono molto più ampie e coinvolgono un’intera popolazione sul territorio bolognese, soprattutto quella più povera, che è altamente mobile in base ai cicli di vita (accoglienza, povertà, emergenza, assegnazione casa popolare) e ai cicli di valorizzazione economica (lavoro precario, innalzamento del mercato immobiliare, sviluppo mobilità urbana).
In secondo luogo abbiamo pensato alla comunità come “comune”. Cioè quello che mette in comune e non ciò che divide. Per esempio con diverse realtà educative attive in quartiere (Piazza Grande con il portierato di comunità e Csapsa due con l’educativa di strada) ci siamo chiesti, riconoscendo le differenze di approcci e metodi e le differenze insite in ognuno di noi, come sviluppare un comune, dato che molti problemi che vediamo sono gli stessi. Speriamo che Blocco Comune QP sia uno spazio che ci possa dare una mano in questo. Ci crediamo molto. 

Siete una rete di realtà, quali i punti di forza e quali le criticità di lavorare insieme ad un progetto condiviso?

Su questa idea di comune inoltre si stanno già avvicinando diverse realtà che mettono in gioco il proprio portato, oltre ad Arcowood e Leila, maestri nella lavorazione del legno, e Verso, collettivo di architetti, che fa un po’ da architrave in ogni processo di progettazione degli spazi condivisa. Il punto di forza è dunque nella grande multidisciplinarietà che solo in un progetto comune può trovare reale espressione. Il punto di debolezza sta nella precarietà delle nostre vite, del nostro lavoro, del nostro attivismo. È difficile oggi ricevere finanziamenti per esperienze di queste tipo. La società ci spinge a frammentarci piuttosto che unirci. Ma siamo sicuri che a tutte le difficoltà che troveremo nel percorso riusciremo a dare risposte concrete. La politica per noi serve a questo, cioè ragionamento intelligente e collettivo per utilizzare le condizioni reali per un riscatto. Quale pratica se non il riuso di materiali si adatta meglio a questo modo di agire? Il concetto è che, magari le cose non andranno come speravi, ma se sei in grado rimescolare i materiali con nuove combinazioni possibili, di dargli nuova vita, allora non ti rassegnerai mai alla catastrofe inevitabile.

In che modo la vostra proposta può interagire con il progetto di Bologna Attiva e più in generale di Dumbo? Quali le connessioni valoriali?

Il nostro è un progetto ibrido. Tiene insieme tecnologie e pensieri diversi. Viene da una forte esperienza sociale di quartiere, ma non si rassegna a mettere le toppe e basta in situazioni di marginalità e povertà con interventi compensativi. Noi crediamo le la progettazione all’avanguardia, l’ibrido di tecnologie/ecosistemi/culture, sia la chiave per la società e le economie del domani . Tutto ciò che avviene a Dumbo e a Bologna Attiva da questo punto di vista è interessantissimo. La capacità che poli come questi hanno e avranno di attrarre macchine, relazioni, sapienze è proprio ciò di cui vogliamo appropriarci insieme ai ragazzi per disegnare un futuro di riscatto e non di esclusione.

Intervista di Silvia Santachiara

BA Bloccocomune 

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